venerdì 13 settembre 2013
Tassare la ricchezza, non il lavoro.
Il capolavoro della borghesia italiana negli ultimi 40 anni, è stato quello di spostare la tassazione dalla ricchezza al lavoro. C’è stato un tempo, fino agli anni Sessanta, in cui nessun dipendente pubblico o privato pagava le tasse, perché al di sotto della soglia minima di 3 milioni di lire annui. L’inflazione ha fatto sì che questo limite fosse ben presto superato da tutti i lavoratori, chiamati dunque a pagare le imposte su quello che ancora oggi viene definito “reddito da lavoro dipendente”. Purtroppo non è il “reddito” a venire tassato, ma il fatto stesso di lavorare. Per parlare di reddito, infatti, dovremmo considerare lo stipendio decurtato della somma necessaria alla sopravvivenza. Per intenderci: se ho uno stipendio di 2.000 euro e ne spendo 2.000 tra affitto, cibo e bollette, il mio reddito è ZERO. Quello che lo Stato tassa, dunque, non è il mio reddito, ma il mio lavoro. Sul fronte opposto, la ricchezza è stata invece progressivamente detassata: abolizione della tassa di successione, forfettizzazione delle aliquote sulle rendite, cancellazione dell’INVIM ecc. Così, se anche possedessi 10.000 ettari di terreno non messo a reddito, su quell’immensa ricchezza non pagherei un solo centesimo di imposte. In Italia, in conclusione, non viene tassata la ricchezza, ma il lavoro. E assistiamo all’assurdo di una popolazione che dal proprio lavoro paga i lussi e gli eccessi di una sparuta minoranza di straricchi assolutamente esentasse. E poiché qualche briciola delle tasse pagate (esclusivamente) da chi lavora va a finire nelle fauci dei partiti, non c’è ovviamente una sola forza politica che denunci o voglia cambiare questo stato di cose. Noi vogliamo pagare le tasse, certamente. Ma vogliamo che siano tassati i consumi, il reddito, le rendite, la ricchezza. Non il lavoro. O le persone, come già sta accadendo, non troveranno più conveniente lavorare, e si adatteranno a vivere dei loro risparmi o di espedienti.
Pierangelo Filigheddu (Da Italians di Beppe Severgnini)
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