venerdì 18 ottobre 2013

Il suono di Verdi

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Scrittori e automobilismo: la passione per la velocità

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Terza pagina: crisi e cultura

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Il settore vitivinicolo italiano

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Imparare dai grandi


Per Grazia Ricevuta (Nino Manfredi - 1970)

Report Investireste i vostri risparmi scommettendo sulle polizze vita dei malati terminali?

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Cavolo: l'ortaggio più nutriente del mondo.

Svolta per l’Alzheimer, trovata sostanza che blocca i danni al cervello
SCIENZA
 RICERCA

Svolta per l’Alzheimer, trovata
sostanza che blocca i danni al cervello




Gli esperimenti sono stati compiuti solo sui topi ma in futuro saranno estesi anche agli essere umani

Punto di svolta nella ricerca contro l’Alzheimer. Ricercatori britannici hanno infatti scoperto una sostanza chimica in grado di prevenire la morte del tessuto cerebrale tipica di malattie neurodegenerative come appunto l’Alzheimer, ma anche il Parkinson e la corea di Huntington. 

Per ora si tratta di test effettuati su modello animale: nei topi, la molecola si è dimostrata in grado di prevenire la distruzione delle cellule cerebrali.

Il gruppo di ricerca dell’unità di Tossicologia del Medical Research Council, che ha sede presso l’Università di Leicester, si è focalizzato sui meccanismi di difesa naturali delle cellule cerebrali, riporta Science Translational Medicine. Ad esempio, quando un virus si impossessa di una cellula cerebrale, porta a un accumulo di proteine virali. Le cellule rispondono interrompendo quasi tutta la produzione di proteine al fine di fermare la diffusione del virus. Tuttavia, molte malattie neurodegenerative comportano la produzione di proteine difettose. Questo mette in moto lo stesso meccanismo di difesa, ma con conseguenze più gravi, perché la produzione di proteine si ferma per così tanto tempo che alla fine le cellule muoiono. Questo processo avviene in molte forme di neurodegenerazione: i ricercatori hanno messo a punto un composto che ha impedito l’avvio di questo meccanismo di difesa.

Il team è riuscito a dimostrare che topi con una malattia neurodegenerativa che aveva provocato gravi problemi di memoria e di movimento destinati a morire entro 12 settimane, se ricevevano il composto non mostravano alcun segno di deperimento del tessuto cerebrale.


La ricercatrice a capo dello studio, Giovanna Mallucci, ha detto alla Bbc on line:« I topi stanno assolutamente bene, è straordinario. Il composto ha completamente impedito la neurodegenerazione ed è il primo a dimostrarsi in grado di farlo. Certo, non possiamo ancora utilizzarlo sulle persone, ma possiamo iniziare a studiarlo per arrivare a mettere a punto farmaci che proteggano dai danni delle malattie neurodegenerative».

Il laboratorio della professoressa Mallucci sta testando il composto su altre forme di neurodegenerazione nei topi, ma i risultati non sono stati ancora pubblicati. 

Evoluzione, Science: “Da una unica specie. Si riscrive la storia” - Il Fatto Quotidiano

Evoluzione, Science: “Da una unica specie. Si riscrive la storia” - Il Fatto Quotidiano

domenica 13 ottobre 2013

L'audace colpo dei Soliti Ignoti

SPIAGGE ITALIANE:
Cala Mariolu, a nord di Arbatax, SARDEGNA.

http://www.beachadvisor.com/europa/italia/sardegna/ogliastra/baunei/spiaggia-libera-cala-mariolu-2/?utm_source=facebook&utm_medium=post&utm_campaign=fb_mare72_Cala
OLTRE L’EURO E L’ERA (ANTI)BERLUSCONIANA


Fabio Falchi :::: Mentre va in scena l’ultimo (?) atto di “Finale di partita all’italiana”, una commedia dell’assurdo che rischia di finire in tragedia per milioni di italiani, si moltiplicano gli articoli e le prese di posizione contro l’Eurozona (e non solo in rete). Su questo argomento, se particolare importanza hanno le analisi di Alberto Bagnai o Bruno Amoroso, si deve a Jacques Sapir l’aver fatto, con grande chiarezza e semplicità, il punto della situazione nel suo recente articolo “Lo scioglimento dell’euro, un’idea che si imporrà nei fatti”. (1) Sapir infatti dimostra che, mentre i media per ragioni politiche e ideologiche cercano di mettere in evidenza il fatto che la cosiddetta “ripresa” dovrebbe essere già cominciata, in realtà tutti gli indicatori economici provano il contrario.

Invero ciò non dovrebbe stupire granché gli italiani che vivono quotidianamente gli effetti della crisi sula loro pelle. Con l’indice della produzione industriale che ha perso ben venti punti percentuali dal 2007 (2), con il tasso di disoccupazione giovanile che ha superato addirittura il 40% (3), con una pressione tributaria simile a quella dei Paesi scandinavi ma con servizi da “terzo mondo”, (4) resi ancora più inefficienti o carenti dalla “macelleria sociale” degli ultimi governi, con il potere d’acquisto delle famiglia diminuito del 4,7% (5) e con il diffondersi della povertà in ampi strati della popolazione, anche a causa di una continua redistribuzione della ricchezza verso l’alto, pare ovvio che a un numero crescente di italiani non possa sfuggire quale sia la reale condizione del nostro Paese.

D’altronde, sarebbe difficile mettere in dubbio i vantaggi che l’euro ha arrecato alla Germania, la quale, grazie ad una politica (che alcuni hanno definito “clandestina” o anche “beggar the neighbour”, ossia “frega il tuo vicino”) incentrata sulle riforme del lavoro firmate da Peter Hartz (già capo del personale della Volkswagen), ha “esportato” tra i quattro e cinque milioni di disoccupati nei Paesi più “deboli” dell’Eurozona e incrementato enormemente il surplus della propria bilancia commerciale. In sostanza, fruendo di un cambio favorevole (l’euro di fatto è un “marco leggero”) e aumentando i profitti delle imprese a scapito del reddito dei lavoratori, la Germania, dopo l’inizio della crisi, ha triplicato il saldo positivo della bilancia commerciale con l’Italia, la Francia e la Spagna, che è passato dall’8,44% alla cifra stratosferica del 26,03%.

Un costo pagato anche da molti tedeschi, dato che il 10% della popolazione tedesca possiede il 53% della ricchezza nazionale (cresciuta tra il 2001 e il 2012 di circa 1400 miliardi di euro), mentre i “mini jobs”, contratti iperflessibili da circa 20 ore settimanali con uno stipendio di 450 euro netti, ormai riguardano 7,3 milioni di persone (il 70% delle quali non ha alcun altro reddito). (6) Eppure in Germania – in cui comunque vi è ancora uno Stato sociale tutt’altro che insignificante o inefficiente (non si deve dimenticare che la Germania ha potuto fare certe scelte partendo da posizioni di altissimo livello per quanto concerne la politica sociale) – è ampiamente diffusa dai media (che possono far leva su alcuni noti pregiudizi che caratterizzano la cultura tedesca) la concezione secondo cui i sacrifici dei tedeschi dipenderebbero dai danni compiuti delle “cicale” mediterranee. Un quadro ben distante dalla realtà, nonostante non si possano ignorare le gravi responsabilità delle classi dirigenti dell’Europa del sud.

Tra l’altro non è nemmeno vero che gli europei con l’introduzione dell’euro starebbero meglio o che la Germania sia la locomotiva d’Europa. Come scrive Bagnai, i dati provano che l’Eurozona si sta rivelando una sorta di gioco a somma zero in cui la Germania tira da una parte e gli altri da quella opposta. Inevitabile quindi ritenere che «la leadership tedesca abbia portato il nostro subcontinente alla catastrofe, allontanandoci in modo persistente e, nel prossimo futuro, irreversibile, dal tenore di vita dei paesi avanzati ai quali avremmo la legittima aspettativa di appartenere». (7)

Tuttavia, quel che più rileva non è tanto la valutazione dei costi economici e sociali derivanti dall’introduzione dell’euro quanto piuttosto il fatto che non è possibile porre rimedio agli squilibri che si sono generati nell’Eurozona finché si continuerà a difendere la moneta unica europea. Al riguardo, si deve tener presente che il “federalismo europeo” (“bandiera” di quegli europeisti che non sanno neppure distinguere l’Europa dall’Eurozona), oltre ai problemi politici che presenta (com’è noto un buon numero di Paesi dell’Ue, tra cui la Gran Bretagna, la Danimarca, la Svezia e la Polonia, non hanno alcuna intenzione di rinunciare alla propria sovranità nazionale – ma in realtà ciò vale anche per la Francia e la stessa Germania), implicherebbe un gigantesco trasferimento di ricchezza dall’Europa del nord a quella del sud. E la Germania dovrebbe sopportare il 90 % del finanziamento di questa operazione, equivalente a circa 230 miliardi di euro all’anno (circa 2.300 miliardi in dieci anni), ossia tra l’8 % e il 9 % del suo Pil (altre stime arrivano perfino al 12,7 % del suo Pil). Chiunque può pertanto rendersi conto che sarebbe assai più facile che un cammello passasse attraverso la cruna di un ago.

Logico dunque che Jacques Sapir ritenga inevitabile l’abbandono della moneta unica europea e che, dopo aver preso in esame i possibili scenari che possono derivare dalla fine di Eurolandia, concluda: «Lo scioglimento dell’euro, in queste condizioni, non segnerebbe la fine dell’Europa, come si pretende, ma al contrario la sua rimonta nell’economia globale, e per di più una rimonta da cui potrebbero trarre beneficio in maniera massiccia, sia per la crescita che la nascita nel tempo di uno strumento di riserva, i paesi in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa». (8)

Considerazioni e conclusioni – quelle di Sapir e Bagnai – che nella sostanza, a nostro giudizio, non si possono non condividere, anche perché fondate su analisi rigorose, nonché sull’ovvia constatazione che una moneta senza uno Stato è nel migliore dei casi un’assurdità (si badi che buona parte degli economisti che oggi difendono l’euro a spada tratta prima dell’introduzione dell’euro erano decisamente contrari alla moneta unica europea), così com’è assurdo pensare che sia possibile costruire il “federalismo europeo” tramite scelte politiche ed economiche del tutto contrarie agli interessi “reali” di chi dovrebbe compierle. E se ciò non bastasse si potrebbe pure ricordare che senza un “federalismo europeo” nulla o quasi si potrebbe fare contro la “speculazione finanziaria”.

Nondimeno, è palese che non è sufficiente, per comprendere la crisi di Eurolandia, considerare solo le questioni attinenti all’economia e alla finanza. Come spiegare altrimenti il fatto che una classe dirigente come quella italiana non cerchi in alcun modo di contrastare ma anzi favorisca una politica che sta devastando il nostro Paese? Per quale motivo cioè i nostri politici o meglio quei membri della nostra classe dirigente – politici o tecnocrati che siano – che tirano effettivamente le fila della politica italiana non si sono opposti né si oppongono nemmeno adesso a decisioni le cui conseguenze disastrose per l’Italia ormai sono evidenti a tutti coloro che hanno occhi per vedere? Insomma è certo che la Germania riesce a trarre il massimo profitto da una situazione geopolitica estremamente favorevole per la sua economia e che quindi l’euro è solo un aspetto, benché non marginale, del problema che si dovrebbe risolvere.

Non è certo un caso che l’introduzione dell’euro sia avvenuta il più rapidamente possibile dopo il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania, il cui significato politico può sfuggire solo a coloro che non conoscono (o fanno finta di non conoscere) gli ultimi centocinquanta anni della storia europea. In definitiva, è lecito affermare che la soluzione della “questione tedesca” era e rimane ancora il principale obiettivo dei “circoli euroatlantisti”, i quali non potrebbero tollerare che Eurolandia si sfasci e la Germania venga tentata – anche solo seguendo delle “direttrici geoeconomiche” – di “sbilanciarsi” dalla parte dei Brics (soprattutto in una fase storica in cui l’America, oltre ad avere serie difficoltà economiche, sembra priva di “iniziativa strategica” e incapace di contrastare con successo la crescita di altre potenze o di altri “poli geopolitici”, che cominciano pure a “fare pressione” per una radicale ridefinizione degli equilibri mondiali).

Da qui la necessità, secondo le “direttive strategiche” d’oltreoceano, per la classe dirigente italiana – che a partire dagli anni Novanta ha consapevolmente scelto di “liquidare” il patrimonio strategico nazionale a vantaggio dei “mercati” – di contribuire a qualsiasi costo alla soluzione della “questione tedesca”. E il compito fondamentale dell’Italia, secondo gli “strateghi euroatlantisti” consiste proprio nel favorire il più possibile la Germania (onde “saldarla” all’Atlantico), cedendo la propria sovranità non all’Europa (come invece molti intellettuali e giornalisti italiani affermano, scagliandosi contro gli italiani “brutti, sporchi e cattivi” ma “ignorando” che per milioni di italiani è un problema perfino, come si suol dire, mettere il pranzo insieme con la cena o che parecchie scuole non solo hanno”lesioni strutturali” ma hanno perfino problemi per acquistare la carta igienica), bensì ai tecnocrati di Bruxelles e alla Bce (la cui vera funzione non è un mistero per nessuno, tanto è vero che non occorre precisare a quali poteri la Bce debba rispondere).

Peraltro, si deve tener presente che non si tratta solo di “tradimento” del proprio Paese da parte della nostra classe dirigente (o almeno dei suoi membri più importanti), dato che quest’ultima condivide valori e stili di vita che la portano ad anteporre il cosiddetto ”mondo occidentale” all’Italia (problema estremamente serio se si considera pure l’americanizzazione della nostra società, in specie delle nuove generazioni). Inoltre la nostra classe dirigente e, in generale, le classi sociali più abbienti sono perfettamente consapevoli che mettere in discussione l’euro, rebus sic stantibus, comporterebbe anche mettere in discussione quei meccanismi di redistribuzione della ricchezza e quella “riforma” dello Stato sociale in base ai quali sarebbe assai poco significativa per le fasce sociali più deboli (ceti medio-bassi inclusi) perfino una crescita del Pil (che in ogni caso sarebbe assai modesta).

Ma appunto per questo l’euro costituisce quell’anello debole su cui bisognerebbe premere per poter spezzare la “catena geopolitica” che lega il nostro Paese a scelte e decisioni strategiche del tutto opposte a quelle che si dovrebbero prendere se si avesse veramente di mira l’interesse dell’Italia (e di conseguenza della stragrande maggioranza degli italiani), mentre continuando di questo passo tra qualche anno si rischia di non poter nemmeno più difendere alcuna sovranità nazionale, semplicemente perché con ogni probabilità non vi sarà più alcuno Stato italiano, ma solo un territorio deindustrializzato, utile come riserva di manodopera qualificata a basso costo.

E’ indubbio allora che prendere posizione contro l’Eurozona e le misure d’austerità imposte dalla Bce e dai tecnocrati di Bruxelles (indipendentemente dalla questione se sia meglio optare per due euro o tornare alla lira o scegliere altre soluzioni) sia essenziale per recuperare quella sovranità che è il presupposto necessario di ogni autentica politica (antiatlantista) che abbia come scopo quello di sottrarre lo Stato alla morsa dei “mercati”. Questo però è possibile – vale la pena di rimarcarlo – solo a patto che non si perdano di vista i reali rapporti di forza tra gli Stati Uniti e l’Ue e si comprenda qual è la vera posta in gioco sotto il profilo geopolitico e geoeconomico, tanto più adesso che in Europa si sta facendo strada la proposta statunitense di creare un “mercato transatlantico”, che renderebbe impossibile una autentica unione politica europea, trasformando l’intera Europa in una “appendice occidentale” degli Usa – ad ulteriore conferma del ruolo determinante del “politico” se non lo si intende come sinonimo di “politica” ma (correttamente) come strategia per la soluzione dei conflitti tra diversi attori (geo)politici e/o sociali.

Si può pertanto ritenere che l’attuale crisi politica italiana possa influire ben poco sulle sorti del nostro Paese, mentre decisivo sarebbe sfruttare la (probabile) fine dell’era (anti)berlusconiana, mettendo da parte lo spirito di fazione, al fine di dar vita ad una nuova forza politica di tipo “nazional-popolare” (che tenga conto cioè anche dei codici culturali ancora, nonostante tutto, condivisi da non pochi italiani), il cui compito principale dovrebbe essere quello di impedire il declino dell’Italia (le cui conseguenze sarebbero gravissime, in primo luogo, proprio per i ceti popolari e medio-bassi). In quest’ottica si dovrebbero cercare collegamenti con altre forze politiche europee, anch’esse interessate ad un rifondazione dell’Europa che non implichi la dissoluzione della identità nazionale nel “mercato globale”, ossia evitando gli eccessi del nazionalismo e di qualsiasi forma di narcisismo identitario, e promuovendo invece sia la nascita di un “polo geopolitico e geoeconomico mediterraneo” distinto da (non opposto a) un “polo baltico” sia una alternativa alle dissennate politiche liberiste. Certo oggi la politica italiana non offre nulla di questo genere, ma una volta che si sia compresa la necessità di difendere le ragioni del cosiddetto “sovranismo” (che pure Jacques Sapir difende) non dovrebbe essere particolarmente arduo poter valutare e giudicare la situazione politica italiana ed europea sulla base di una coerente e “corretta” visione geopolitica, senza lasciarsi fuorviare da “ottusi” schemi concettuali economicistici.


* Fabio Falchi è redattore di “Eurasia” Rivista di studi geopolitici



Report Direttiva: NOMINE PUBBLICHE

Report Direttiva: NOMINE PUBBLICHE

mercoledì 9 ottobre 2013

I Nuovi Mostri

Una vita difficile.wmv

Laura Pausini & Eros Ramazotti - Nel blu dipinto di blu

DITTATURA E ARTE
http://www.arte.rai.it/articoli/dittatura-e-arte/4387/default.aspx


Isabella Rossellini dice addio al cinema: l’attrice si ritira per motivi di salute | Viva Cinema

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Massimo Bertolucci censurato
https://www.facebook.com/photo.php?v=10201245871807515&set=vb.1193185567&type=3
I pronomi combinati
http://impariamoitaliano.com/pcom22.htm

domenica 6 ottobre 2013

Esercizi di grammatica (livello B1-B2)
http://parliamoitaliano.altervista.org/grammatica-livello-intermedio-b1b2/


Preposizioni (Livello A1)

http://parliamoitaliano.altervista.org/preposizioni-semplici-4/

L'Antitroika: Il danno collaterale peggiore del modello tedesco

L'Antitroika: Il danno collaterale peggiore del modello tedesco: 15 mila dipendenti del colosso tecnologico tedesco Siemens  perderanno il proprio lavoro entro il 2014 . La totale assenza di qualunque f...

Vajont: quattro minuti che sconvolsero il mondo - Tv Svizzera

Zenzero potente antidolorifico senza gli effetti collaterali dell’ibuprofene e dell’aspirina.

Molteplici sono le proprietà terapeutiche dello zenzero, ne abbiamo parlato largamente, ottimo rimedio contro le nausee, antivirale, digestivo, antiossidante, una radice ricca di virtù. Oltre a ciò può essere antidolorifico , ottenendo effetti addirittura migliori rispetto all’aspirina , l’ibuprofene e il naprossene .

I ricercatori della University della Georgia hanno svolto uno studio a riguardo che ha coinvolto un gruppo di 74 studenti divisi in tre gruppi. Il risultato di questo studio ha evidenziato il potere antidolorifico dello zenzero in misura superiore ad un antidolorifico chimico. L’autore dello studio Chris Black , PhD, professore di kinesiologia alla Georgia College e all’ Università di Stato , spiega che gli studi confermano che lo zenzero è un agente anti – infiammatorio , il quale blocca lo stesso enzima che farmaci come l’aspirina , ibuprofene e naprossene bloccano, ma senza dannosi effetti collaterali che potrebbero avere i farmaci allopatici.

I ricercatori hanno diviso un gruppo di 74 studenti in tre gruppi , e ha dato loro a uno zenzero crudo , a un altro zenzero riscaldato , e a un altro placebo . I due gruppi che avevano utilizzato zenzero, dopo un esercizio fisico hanno dimostrato un 25% in meno di dolore muscolare rispetto al gruppo che aveva assunto il placebo.

Ecco un’ ennesima conferma dei poteri di questa radice, che può anche essere coltivata facilmente in casa.

http://ambientebio.it/zenzero-potente-antidolorifico-senza-gli-effetti-collaterali-dellibuprofene-e-dellaspirina/
Ginger powerful Painkiller without the side effects of ibuprofen and aspirin

There are many therapeutic properties of ginger, we talked about wide, excellent remedy against nauseas, antiviral, antioxidant, digestive, a rich root of virtue. Besides this may be, indeed even pain better than aspirin, ibuprofen and naproxen.

Researchers at the University of Georgia have done a study that involved a group of 74 students divided into three groups. The result of this study showed the Painkiller ginger power in excess of a painkiller. Study author Chris Black, PhD, Professor of Kinesiology at Georgia College and State University, explains that the studies confirm that Ginger has an anti-inflammatory agent, which blocks the same enzyme that drugs such as aspirin, ibuprofen and naproxen block, but without harmful side effects that might have the allopathic drugs.

The researchers divided a group of 74 students into three groups, and gave them a raw ginger, another heated, ginger and another placebo. The two groups that had used ginger, after physical exercise showed a 25% less muscle pain compared to the group that took a placebo.

Here is yet another confirmation of the powers of this root, which can also be grown easily at home.


Alberto Sordi - PICCOLA POSTA - il film (1955)

venerdì 4 ottobre 2013

Film: L'arciere di fuoco

Il deserto dei tartari

Staminali, positiva terapia sperimentale per malata sclerosi multipla - Il Fatto Quotidiano

Staminali, positiva terapia sperimentale per malata sclerosi multipla - Il Fatto Quotidiano


Le preziose mappature di arte.it

Le preziose mappature di arte.it
Nasce turbina sommersa low cost e made in Italy
Frendy Energy lancia prima turbina economica al mondo sommersa ad asse orizzontale: performance superiore rispetto ai concorrenti ad asse verticale. NEW YORK (WSI) - Stavolta non è prodotta in Cina ma in Italia. La prima turbina sommersa ad asse orizzontale economica e facilmente installabile porta la firma del gruppo Frendy Energy .
Torna l’auto ad aria: esiste e parla sardo
L’auto ad aria sembrava un sogno che da utopia si andava però a trasformarsi in un buco nero. L’avevano infatti data per spacciata quando si chiamava Eolo. Problemi tecnici e inconvenienti bloccavano la produzione in serie dell’automobile ecologica per eccellenza, visto che emette solo aria fredda. Ora si chiama AirPod ed è un’evoluzione del progetto. La bella notizia per noi italiani è che questo veicolo sarà prodotto (incrociando le dita) in Sardegna. Ci hanno creduto gli imprenditori cagliaritani di AirMobility (link: http://www.airmobility.it/) , che hanno strappato la licenza esclusiva per l’Italia. Sono convinti di riuscire a far partire una nuova filiera del settore automobilistico grazie al precedente accordo in India tra la Mdi – società francese, guidata dall’ex ingegnere di Formula Uno della Williams Guy Nègre, che detiene i diritti sul modello – e la Tata Motors. La fabbrica di Air Mobility si trova nel cagliaritano (Bolotana) e avrà caratteristiche standardizzate secondo un modello che verrà ripetuto in tutto il mondo, al fine di rendere più efficiente la produzione. Sono già impegnati 30 dipendenti e questa è già un’altra grande notizia per una regione così in difficoltà per quanto riguarda il tessuto industriale e lavorativo. Il progetto è stato presentato il 20 settembre a Cagliari durante la Settimana Europea per la Mobilità Sostenibile. Attualmente non è immatricolata come automobile, si guida tramite joystick ed è concepita come una city car, viste le dimensioni contenute (meno di due metri, più piccola di una Smart). Sono previsti 4 diversi modelli, per un veicolo che al momento costa sette mila euro e che può essere ricaricata in tre minuti, tramite appositi sistemi di pressurizzazione dell’aria o tramite ricarica da una presa elettrica (in questo caso ci vuole qualche ora). L’autonomia di AirPod è di tutto rispetto: tra i 120 e i 150 kilometri, con la possibilità di raggiungere la velocità di 130 km/h. Con una media di un euro di spesa in “carburante” è possibile percorrere un centinaio di kilometri, una opportunità per quanti vogliono risparmiare sul costo della benzina o del diesel delle classiche auto con motore a scoppio. «Il potenziale di sviluppo della tecnologia utilizzata dall’Air Pod è enorme, soprattutto se applicata non solo per la mobilità urbana, ma, per esempio, anche in campo agricolo», ha commentato l’assessore all’Industria, Antonello Liori. AirMobility si sta anche attrezzando sui social network: su Facebook c’è infatti la pagina di AirPod, con aggiornamenti di foto e video su quella che si presenta come la speranza per il futuro della mobilità sostenibile. Emanuele Rigitano