sabato 28 settembre 2013
Il de profundis dell’Italia industriale
Parliamo di svendita imminente del Paese, ma in realtà gran parte di esso è stato letteralmente comprato negli ultimi anni, quando la crisi e l’assoluta incapacità di gestirla da parte del sistema politico, ha reso conveniente l’acquisizione di centinaia di aziende e di produzioni in mano ad imprenditori già da molti anni poco disposti ad investire e ipnotizzati dalla rendita finanziaria. Del resto la promessa bipartisan del sistema politico a quello produttivo era, già dalla fine degli anni ’90, quella di ridurre i diritti del lavoro per supportare una competitività basata esclusivamente sui salari invece che sul prodotto e sull’innovazione: una vera follia dentro una globalizzazione che vedeva emergere Paesi con retribuzioni inarrivabili. Così è cominciato un logoramento di immagine e di posizione commerciale che ora ha raggiunto il suo acmè.
Da tempo la telefonia è trasmigrata ai quattro angoli del mondo, nonostante l’Italia sia da sempre uno dei mercati più vasti e vivaci per il settore e ora ha preso il volo anche la Telecom, l’unica superstite. Ma ormai si tratta di pochi rimasugli di una gloria che fu schegge che sono già in procinto di passare in altre mani come Finmeccanica (l’Ansaldo sarà scorporata e venduta alla Siemens e altri due gruppi americani) o Eni. Rimane ben poco prima della svendita dei beni pubblici e della partenza di fatto degli ultimi grandi gruppi come la Fiat. Molto spesso però sfugge la dimensione del problema e sembra di parlare di cose astratte: invece facendo un elenco delle aziende acquisite negli ultimi anni si può avere un’idea concreta dell’avvitamento nel quale siamo. Entriamo anche se in maniera sommaria in questo purgatorio:
Industria Agroalimentare
Fiorucci Salumi della spagnola Campofrio
Bertolli, Carapelli, Olio Sasso della spagnola Sos
Star della Galina Blanca di Barcelona
Riso Scotti controllata dalla spagnola Ebro Food
Parmalat, Galbani, Locatelli, Invernizzi della francese Lactalis
Pasta Del Verde della Molinos Del Plata (Spagna- Argentina)
Eridania controllata della francese Cristalcalco
Ferrari industria Casearia controllata dalla francese Bongrain
Boschetti Alimentare della francese Financiere Lubersac
Orzo Bimbo di Novartis
Fattorie Scaldasole della francese Andros
Gancia del magnate russo Rustam Tariko
Pelati Antonino Russo controllata da Mitsubishi
Chianti Gallo Nero azienda agricola comprata da un manager cinese
Chianti Ruffino della america Constellation Brand
Pernigotti della turca Toksoz
Buitoni, San Pellegrino, Perugina, Motta, Antica Gelateria del Corso, Valle degli orti della Nestlè
Peroni della sudafricana SabMille
Algida, Confetture Santa Rosa e Riso Flora della Unilever
Ar Alimentari della giapponese Princes
Made in Italy della moda
Loro Piana, Bulgari, Fendi, Emilio Pucci, Acqua di Parma della francese Louis Vuitton
Gucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi, Brioni, Pomellato, Richard Ginori, Calzature Sergio Rossi della francese Ppr di Henry Pinault
Valentino (e licenza per il marchio Missoni) della Mayhoola del Qatar
Belfe, Lario, Mandarina Duck, Coccinelle della coreana E – Land
Giada della cinese Redstone
Sergio Tacchini, diviso fra tre gruppi cinesi
Ferrè della Paris Group di Dubai
Industria
Ferretti Yacht della Shandong Heawy industries
Cifa (betoniere e macchine per l’edilizia) della cinese Zomlion
Lamborghini, Ducati moto, Giugiaro design della Wolkswagen
Diavia condizionatori della tedesca Webasto
Magneti Marelli, Fiat Ferroviaria, Parizzi, Sasib Ferroviaria , Passoni & Villa della francese Alstom
Avio (aerospazio) della statunitense General Electric
Acciaierie Lucchini della russa Severstal
Fiat Avio, della britannica Cinven
Cucine Berloni, controllata dalla taiwanese Hcg
Safilo (occhiali) dell’olandese Hal Holding
Benelli del gruppo cinese Qian Jiang
Sps Italiana Pack System dell’americana Pfm
Edison dell’azienda di stato francese Edf
Edilcuoghi, Edilgresdella turca Kale group
Terziario
Fastweb della svizzera Swisscom
Loquendo leader nel riconoscimento vocale dell’americana Nuance
BNL della francese BNP Paribas
Costa Crociere dell’americana Carnival
Standa dell’austriaca Billa
Coin della Francese Pai Partners
Omnitel alla britannica Vodafone
Wind alla russa VimpelCom
A questo elenco si potrebbe aggiungere quello della aziende che di fatto non producono più in Italia e hanno licenziato in massa
Dainese: in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi.
Geox: in Brasile, Cina, Vietnam e Serbia su circa 30. 000 lavoratori meno di 2. 000 sono italiani e andranno a scomparire.
Bialetti: in Cina.
Omsa: in Serbia.
Rossignol: in Romania
Ducati Energia in India e Croazia.
Benetton: in Croazia.
Calzedonia: in Bulgaria.
Stefanel: in Croazia.
Si tratta di una lista parziale, ancorché la più completa finora pubblicata, alla faccia dei paludati giornaloni e dei talk addomesticati: contiene i nomi di quelle imprese più o meno conosciute da tutti. Dal 2009 ad oggi sono state acquisite 363 aziende italiane per un controvalore di circa 47 miliardi di euro. Non è poco, soprattutto considerando considerando la scarsità di medie e grandi imprese del bel Paese e la future cessioni, delocalizzazioni, trasferimenti che di fatto lasceranno solo la miriade di micro aziende forse solo in grado di sopravvivere , ma non certo di garantire un rilancio del Paese.
Tutto questo è stato possibile grazie alla totale mancanza di una politica industriale, alle privatizzazioni dissennate e alle svendite giusto per far cassa, a uno scorretto e opaco rapporto tra privato e pubblico, ma soprattutto al teorema radice del liberismo e della globalizzazione, anche quello rivelatosi una bugia, secondo la quale la proprietà di un’azienda non conta. Invece conta eccome e per vari motivi: il primo ovvio è che i profitti volano altrove, il secondo è che il plus valore del “nome”, dell’immagine di certi prodotti, pensiamo solo al cibo e alla moda, viene sfruttato da altri, il terzo è che tutta la rete di attività, servizi, indotto, vengono quasi sempre assorbiti altrove causando un’impoverimento locale e il quarto ancora più importante è che le attività di progettazione e di ideazione, le competenze, il sapere si trasferiscono depauperando le possibilità di futuro. Non è difficile capirlo. E tuttavia per quasi tre decenni ormai siamo vissuti dentro l’ossessione e l’adorazione degli “investimenti” dall’estero, essendo del tutto incapaci di sviluppare investimenti sani dentro il Paese. Salvo bloccarli quando l’ingresso di qualche gruppo estero nel Paese infastidiva i potentati locali. Ci siamo lasciati trascinare tutti dentro questo sciocchezzaio che in realtà mirava a un altro scopo: decretare il primato dei grandi gruppi economici e finanziari sulla politica, sugli stati e dunque sui diritti. Ci abbiamo creduto e ora siamo a mezzo servizio come cittadini ed eterni precari come lavoratori.
I Docenti Scapigliati: "L'istruzione verso la distruzione" (intervista a ...
I Docenti Scapigliati: "L'istruzione verso la distruzione" (intervista a ...: di Matteo Nucci, Il Messaggero , 29 Marzo 2012 fonte: QUI «A inizio Novecento, Giolitti capì che il Paese aveva bisogno di istruzi...
martedì 17 settembre 2013
venerdì 13 settembre 2013
Tassare la ricchezza, non il lavoro.
Il capolavoro della borghesia italiana negli ultimi 40 anni, è stato quello di spostare la tassazione dalla ricchezza al lavoro. C’è stato un tempo, fino agli anni Sessanta, in cui nessun dipendente pubblico o privato pagava le tasse, perché al di sotto della soglia minima di 3 milioni di lire annui. L’inflazione ha fatto sì che questo limite fosse ben presto superato da tutti i lavoratori, chiamati dunque a pagare le imposte su quello che ancora oggi viene definito “reddito da lavoro dipendente”. Purtroppo non è il “reddito” a venire tassato, ma il fatto stesso di lavorare. Per parlare di reddito, infatti, dovremmo considerare lo stipendio decurtato della somma necessaria alla sopravvivenza. Per intenderci: se ho uno stipendio di 2.000 euro e ne spendo 2.000 tra affitto, cibo e bollette, il mio reddito è ZERO. Quello che lo Stato tassa, dunque, non è il mio reddito, ma il mio lavoro. Sul fronte opposto, la ricchezza è stata invece progressivamente detassata: abolizione della tassa di successione, forfettizzazione delle aliquote sulle rendite, cancellazione dell’INVIM ecc. Così, se anche possedessi 10.000 ettari di terreno non messo a reddito, su quell’immensa ricchezza non pagherei un solo centesimo di imposte. In Italia, in conclusione, non viene tassata la ricchezza, ma il lavoro. E assistiamo all’assurdo di una popolazione che dal proprio lavoro paga i lussi e gli eccessi di una sparuta minoranza di straricchi assolutamente esentasse. E poiché qualche briciola delle tasse pagate (esclusivamente) da chi lavora va a finire nelle fauci dei partiti, non c’è ovviamente una sola forza politica che denunci o voglia cambiare questo stato di cose. Noi vogliamo pagare le tasse, certamente. Ma vogliamo che siano tassati i consumi, il reddito, le rendite, la ricchezza. Non il lavoro. O le persone, come già sta accadendo, non troveranno più conveniente lavorare, e si adatteranno a vivere dei loro risparmi o di espedienti.
Pierangelo Filigheddu (Da Italians di Beppe Severgnini)
No Tecnostress Day: consigli per il digital detox.
E-mail, telefonate, navigazione online, tweet e social network: l’immersione nel digitale è continua e per molti lo è stata persino in vacanza. In Italia sono circa 2 milioni i lavoratori a rischio tecnostress che genera ansia, ipertensione, insonnia, attacchi di panico, disturbi alla memoria, calo della concentrazione. Le principali categorie a rischio sono networker, lavoratori Ict, operatori di call center, commercialisti, ma anche giornalisti, pubblicitari e analisti finanziari. Per prevenire questa nuova malattia professionale, oggi si celebra la sesta edizione di No Tecnostress Day, una giornata di disconnessione digitale promossa da Netdipendenza Onlus. Ma come disintossicarsi dall’eccesso di tecnologia di cui – per motivi di lavoro - non possiamo più fare a meno? Lo abbiamo chiesto ad Enzo Di Frenna, presidente di Netdipendenza Onlus, e a Luigi Izzo, bioarchitetto esperto di “ufficio rilassante”.
Meditazione zen e campane tibetane.
Il tecnostress è prodotto dal sovraccarico informativo cerebrale (information overload), che attiva la tensione psicofisica. Per questo, la meditazione, specie quella zen, aiuta a creare il vuoto mentale. “Il segreto sta nell’imparare a osservare i pensieri come le immagini di un film, focalizzando l’attenzione su colui che osserva” spiega Enzo Di Frenna, presidente di Netdipendenza Onlus. “In questo modo si prende la giusta distanza dai pensieri, che iniziano ad allentare la presa cerebrale e si favorisce il rilassamento”. E’ utile anche la meditazione con le campane tibetane: “Si focalizza l’attenzione sul suono e quando i pensieri arrivano, si presta di nuovo ascolto ai suoni”. In questo modo si impara a gestire il flusso dei pensieri, che i dispositivi digitali amplificano grazie a tanti input che arrivano con telefonate, email, sms, tweet, ecc.
(Da Repubblica 12/09/2013)
lunedì 9 settembre 2013
Mostra del cinema di Venezia 2013
SETTE PREMI DA ASSEGNARE.
Venezia, impazza il totoleone.
Bertolucci: «Voglio essere sorpreso».
Sabato verranno assegnati Leoni, Oselle e coppe Volpi.
VENEZIA -
E' stato lo sport più praticato al Lido, sopratutto negli ultimi giorni: indovinare quali sono stati i film che hanno colpito al cuore la giuria presieduta da Bernardo Bertolucci, a quali andranno sabato sera Leoni, Oselle e coppe Volpi. Un Totoleone quanto mai arduo. Scommesse, conto delle stellette dei critici, avvistamenti veri o fasulli di presunti vincitori. Ma, soprattutto, si interroga sugli umori, i gusti, i legami del carismatico regista che aveva dichiarato di aver accettato per allegria e dato una sola indicazione su come avrebbe giudicato le opere: «Voglio essere sorpreso anche nelle premiazioni che faremo». Per la cronaca, trent'anni fa, nello stesso ruolo, scelse «Prenom Carmen» di Jean-Luc Godard per il Leone d'oro. Le uniche certezze sembrano essere che sarà un verdetto destinato a sorprendere e far discutere. Sette i premi da assegnare; Leone d'oro e Leone d'argento, Gran Premio della giuria, Coppa Volpi per attore e attrice, Oselle per sceneggiatura e miglior contributo tecnico e Premio Mastroianni a un giovane. Ricordando che i totoleoni sono il più delle volte smentiti - nel 2012 tutti davano per certo il trionfo di The Master di Anderson, vinse invece Pietas Kim Ki-Duk - ecco alcuni Leoni d'oro possibili.
IL PIU ECUMENICO - Senza dubbio Philomena di Stephen Frears, in testa ale classifiche dei critici nazionali e internazionali e del gradimento del pubblico. Un film perfetto: scritto benissimo, girato benissimo, recitato benissimo. Ragione e sentimento affidate a una regale Judi Dench. Può mettere tutti d'accordo, ma proprio la sua perfezione potrebbe invece privilegiare l'ipotesi della Coppa Volpi alla protagonista.
IL PIU' CINEFILO - Ha messo a dura prova gli spettatori Tsai Joaoyou (Cani randagi) del taiwanese Tsai Ming-liang, non storia, «non c'è un inizio e non c'è una fine» con scene culto: dodici minuti in cui il protagonista che mangia un cavolo e un produttore che precisa: «Non faccio film per il pubblico, questo regista è un maestro e bisogna tenerne conto». C'è chi giuria che si tratta, invece, solo di un bluff.
I PIU INQUIETANTI - Se la sorpresa che cercano Bertolucci e suoi è di quelle che non ti abbandonano più, la gara sembra tra due registi europei. Philip Gröning e il suo la moglie del poliziotto, discesa in 59 capitolo nell'orrore di un gruppo di famiglia in un interno. E il greco Alexandros Avranas con Miss Violenza, uno schiaffo a chi guarda con una storia di violenza domestica, prostituzione e pedofilia.
IL PIU SENTIMENTALE - Anche presidenti hanno un cuore. Tra i registi in gara c'è un amico carissimo di Bertolucci, Philippe Garrel, l'ultimo erede della Nouvelle Vague, con una storia molto personale, La jalousie, ben accolta al Lido. Chissà se la giuria troverà un posto per lui.
IL PIU INATTACCABILE - L'annuncio che Kaze Tachinu (The Wind Rises) sarà l'ultimo film da regista di Hayao Miyazakilo ha eletto ufficialmente testamento artistico di un regista venerato in tutto il globo. Un Leone d'oro che sarebbe difficile contestare.
IL PIU IMPROBABILE - L'ultima volta che un regista italiani ha vinto un Leone d'oro è stato nel 1998, Noi ridevamo di Gianni Amelio. Altamente improbabile che sia l'anno buono per riportarlo in patria.
IL PIU SORPRENDENTE - Venezia 70 potrebbe chiudersi con un segnale a favore dei documentari. Barbera ne ha voluti due in gara, l'italiano Sacro Gra e l'americano The Unknown Known. La vera sorpresa, che farebbe entrare il verdetto della giuria nella leggenda festivaliera, potrebbe essere una coppa Volpi a Donald Rumsfeld. L'ha detto anche il regista Errol Morris, come sa fingere lui, neanche il più consumato degli attori.
IL PIU CORAGGIOSO - Ha solo 25 anni il canadese Xavier Dolan: il suo Tom à la ferme ha lasciato il segno. Dargli il premio più importante sarebbe anche un modo per dire: largo ai giovani. Invito in cui Bertolucci crede sul serio.
ZORAN E i SUOI FRATELLI - Intanto alcuni premi sono già arrivati. A Philomena è andato il Mouse d'oro e il Premio Taddei. Il Leoncino d'Oro Agiscuola per il Cinema è stato assegnato a Sacro Gra di Gianfranco Rosi. Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleott, vince il Premio del Pubblico Rarovideo della Settimana della Critica e la Menzione dei Critici del Mediterraneo che hanno anche premiato come miglior film delle Giornate degli Autori l'israeliano Bethlehem di Yuval Adler, della Settimana della critica Class Enemy dello sloveno Rok Biček e di Venezia 70 a Miss Violence. Il premio Fipresci assegnato dalla federazione internazionale dei critici va a Tom à la ferme di Dolan.
Stefania Ulivi
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